La Fabbrica delle Illusioni

Mario Fabbri

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Il libro ricerca le cause dei sistematici fallimenti delle odierne teorie economiche svolgendo un'indagine sulla movimentata storia dell'idea di "capitale" a partire dalla sua comparsa, come efficace innovazione, nel linguaggio dei mercanti genovesi del dodicesimo secolo.

In questo lungo percorso Genova svolge un ruolo fondamentale, come vera apripista, poco dopo l'anno mille, della rinascita economica dell'Europa.

È l'epoca in cui al vertice delle società europee si consolida una classe di signori i quali, in cerca di modi di vita esclusivi importano, ad esempio, dal mondo arabo il gioco intellettuale e prestigioso degli scacchi e sono pronti a pagare a peso il pepe quasi quanto l'oro. Infatti, poco dopo il 1050, troviamo ad Alessandria d'Egitto i primi ed ancora inesperti mercanti genovesi che, pur strapagandolo ai locali, spuntano al ritorno profitti straordinari.

In pochi decenni, il rinato porto di Genova diventa meta di una massiccia immigrazione di individui ambiziosi ed energici, desiderosi di far fortuna nei traffici con l'oltremare arabo e bizantino.
Questo spiega la singolare intraprendenza e bellicosità dei Genovesi del tempo, ciò che, insieme ad altri indizi, identifica la massa degli immigrati come di discendenza fondamentalmente "longobarda", e crea un ambiente sociale dinamico e fortemente individualistico, diverso da quello di Venezia, pacificamente governata dalla sua aristocrazia mercantile e meno feconda di innovazioni economiche, nonostante che sia in affari da più di tre secoli.

Genova invece, stimolata dagli impegnativi problemi posti dalla navigazione a lunga distanza, è una straordinaria fucina di invenzioni: nascono le società per azioni, il debito pubblico, la contabilità cittadina in partita doppia e tante altre fondamentali istituzioni capitalistiche, che poi si diffonderanno in tutta Europa.

Tra queste novità va annoverata anche l'introduzione del termine latino capitale, a designare i fondi versati dai soci finanziatori in una società di commenda, da tenere ben distinti dal successivo profitto che andrà diviso tra loro e il socio navigante.

L'accoppiata capitale-profitto è un nuovo e fecondo schema mentale, ignoto all'antichità romana, che stimolerà potentemente le riflessioni e resta da allora assolutamente efficace per inquadrare i meccanismi economici, ma solo finché lo si utilizzi nell'ambito delle fortune individuali, senza estenderlo,
come fa la dottrina economica moderna, a motore primo della ricchezza dell'intero paese.

Infatti dal Settecento, Adam Smith e discepoli, in cerca del motore dello sviluppo economico prenderanno a parlare non più solo del capitale del singolo, ma anche di quello "dell'intero paese, cadendo in una vera allucinazione teorica, fonte di insolubili (e perciò interminabili) controversie, oggi divenute così astruse che certi specialisti della teoria del capitale ammettono di non saper nemmeno bene su che cosa mai, "tra esperti", si stia litigando.


Oscar Giannino intervista l'ing. Mario Fabbri sul suo libro:

fabbri_2014-02-19