Le vendite allo scoperto (short selling): storia recente e approfondimenti
a cura di G.Borsi, aprile 2010
Si parla di short selling, o vendita allo scoperto, quando il venditore di uno stock (azione) non possiede ciò che vende, ma, prevedendone una diminuzione di prezzo, se lo fa prestare dal broker per poterlo vendere. L'azione verrà prelevata dal portafoglio titoli dell'intermediario, o da un altro cliente dell'intermediario stesso, o da un'altra società di brokeraggio, così da poter essere consegnata al compratore, che verserà il normale corrispettivo dell'intermediazione.
La vendita allo scoperto si configura quindi come un prestito non di denaro, bensì di titoli, e, come solitamente accade per quello di denaro, è previsto un interesse da corrispondere al datore del prestito.
A fronte della vendita allo scoperto il broker ci verserà il ricavato sul nostro conto, ma al tempo stesso ci addebiterà, oltre alla liquidità necessaria a ricomprare il titolo, una percentuale della stessa come margine di garanzia per coprirsi da eventuali oscillazioni del titolo a noi sfavorevoli; ci addebiterà inoltre una commissione per il prestito titoli (o interesse).
Qualora venga a mancare la disponibilità dei titoli da parte del broker, potremo essere costretti a ricoprirci, ossia a chiudere l'operazione con l'acquisto sul mercato dei titoli su cui eravamo scoperti.
Uno dei momenti in cui spesso si è costretti a ricoprire l'operazione è quello dello stacco del dividendo, in quanto l'azione venduta stacca un diritto che non è negoziabile in borsa e di cui non ci possiamo coprire; diverso è invece il caso in cui l'azione che abbiamo venduto allo scoperto sia oggetto di aumento di capitale: anche in questi casi il titolo stacca un diritto, ma questo viene trattato in borsa separatamente dall'azione, e quindi chi è scoperto precedentemente si troverà, all'avvio dell'aumento di capitale, scoperto sia dell'azione che del diritto d'opzione; potrebbe non avere problemi a mantenere il prestito titoli sull'azione, ma dovrà comunque ricoprirsi quanto meno dei diritti d'opzione.
Solitamente le fasi ribassiste dei mercati hanno durata più breve e sono meno numerose delle fasi ascendenti, e forse proprio per questo la tecnica dello short selling viene abitualmente considerata come un'operatività finanziaria tipicamente speculativa (c'è chi la definisce addirittura amorale, in quanto mirata a distruggere ricchezza) e orientata su un orizzonte di breve periodo.
Alcuni broker consentono anche un'attività di short selling intraday: in questi casi, non disponendo di un prestito titoli, l'operazione dovrà essere chiusa entro un certo orario della seduta di borsa o al più tardi in asta di chiusura, a seconda delle regole dell'intermediario stesso.
In Italia, a seguito della crisi finanziaria scatenatasi dall'insolvenza di Lehman Brothers nell'ottobre 2008, i mercati hanno sperimentato tensioni e volatilità eccezionali; temendo che le vendite allo scoperto potessero contribuire ad acuire le tensioni sui mercati, le Autorità di Vigilanza dei principali paesi hanno varato una serie di misure volte a limitare, in vari modi, la pratica delle vendite allo scoperto.
In tale contesto è intervenuta la Consob, adottando una serie di provvedimenti restrittivi di natura temporanea, diversamente modulati a seconda delle condizioni di mercato.
Successivamente, nel corso di tutto il 2009, gli ulteriori provvedimenti sono stati diretti a eliminare via via i vincoli temporanei all'attività di short selling, eccezion fatta per le azioni di società che avessero deliberato un aumento di capitale entro il 30 novembre 2009; a queste ultime era stata data inoltre la possibilità di chiedere di essere escluse dall'applicazione di tali disposizioni.
Il divieto di vendere allo scoperto azioni di società oggetto di aumenti di capitale non è stato ulteriormente rinnovato (vedi Delibera n. 17078 del 26 novembre 2009).
In attesa che la materia possa essere armonizzata quanto meno a livello europeo, la Consob ha pubblicato un documento di consultazione nel quale sono state individuate le diverse opzioni regolamentari potenzialmente idonee a disciplinare il fenomeno delle vendite allo scoperto in via permanente.
Sono giunte varie osservazioni degli addetti ai lavori: in generale l'attività di short selling viene ritenuta portatrice di effetti benefici per il mercato, per quanto riguarda la liquidità e l'efficienza informativa sui prezzi, nonché parte integrante delle politiche di investimento e delle strategie di risk management degli operatori. Inoltre, alla luce dell'esperienza maturata nel 2009, sembra che le misure restrittive adottate non abbiano apportato sostanziali benefici al mercato, ma solo costi, in termini di ridotta liquidità e minore efficienza informativa sui prezzi (Abi, Assosim).
Per quanto concerne in particolare gli aumenti di capitale, lo short selling favorisce un efficiente processo di formazione dei prezzi sia delle azioni che dei diritti di opzione, ed eviterebbe situazioni estreme come quelle verificatasi nel 2009 (si vedano i prezzi di azioni e diritti Seat, Pirelli Real Estate e Tiscali in occasione degli aumenti di capitale): infatti la possibilità di porre in essere operazioni di arbitraggio attraverso la vendita di azioni e il contestuale acquisto dei diritti corrispondenti, nell'ipotesi che le azioni siano sopravvalutate o che i diritti di opzione siano sottovalutati, consente il riallineamento dei valori e quindi una riduzione delle distorsioni nella dinamica dei prezzi.
Normalmente le finalità che gli operatori perseguono attraverso la pratica dello short selling sono le seguenti:
1 - finalità speculative
2 - finalità di arbitraggio
3 - finalità di hedging (copertura).
Di norma le vendite allo scoperto sono motivate da fini speculativi: gli short sellers vendono allo scoperto titoli che, in base alle informazioni in loro possesso, ritengono sopravvalutati, allo scopo di ricavare un profitto dalla differenza tra prezzo di acquisto e di vendita.
Le vendite allo scoperto possono essere realizzate anche con finalità di arbitraggio: ad esempio, gli operatori di mercato possono acquistare e vendere simultaneamente strumenti finanziari collegati, come azioni e derivati, per sfruttare eventuali disallineamenti nei prezzi dei titoli.
Inoltre lo short selling è spesso utilizzato per coprire eventuali posizioni lunghe su un titolo: ad esempio, operatori che hanno acquistato un'obbligazione convertibile, o venduto un'opzione put, possono vendere allo scoperto il titolo sottostante.
Se si ipotizzano condizioni normali di mercato, l'attività di short selling condotta con queste finalità non genera effetti negativi, ma anzi contribuisce all'efficiente funzionamento dei mercati.
Infine l'attività di short selling aumenta il numero di potenziali venditori e futuri acquirenti, determinando un incremento dei volumi e una riduzione dei costi di transazione (misurati attraverso lo spread denaro/lettera).
Questi benefici vengono meno in situazioni "patologiche", come quando lo short selling viene trasformato in strumento per perpetrare abusi di mercato (diffusione di notizie false allo scopo di affossare i mercati e generare panic selling), o in circostanze eccezionali di crisi, quando si vuole approfittare dell'accentuata volatilità e fragilità del mercato.